Non ci può essere transizione ecologica senza economia circolare. E le possibilità di evitare una catastrofe climatica, onorando gli impegni al 2050 assunti al vertice Onu di Parigi del 2015, sono legate anche al rilancio dell’economia circolare da cui dipende il 39% dei tagli di CO2. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre, a livello globale, raddoppiare l’attuale tasso di circolarità delle merci passando dall’8,6% al 17%. È una sfida che vede l’Italia in prima linea: il nostro Paese per il terzo anno consecutivo è in testa nel confronto sulla circolarità tra le cinque principali economie dell’Unione europea (Germania, Francia, Italia, Spagna e la Polonia, che con l’uscita del Regno Unito dall’UE risulta la 5° economia).
Per questi 5 Paesi sono stati analizzati i risultati raggiunti nelle aree della produzione, del consumo, della gestione circolare dei rifiuti, degli investimenti e dell’occupazione nel riciclo, nella riparazione, nel riutilizzo. Sommando i punteggi di ogni settore, si ottiene un indice di performance sull’economia circolare che nel 2021 conferma la prima posizione dell’Italia con 79 punti, ma senza miglioramenti significativi, seguita dalla Francia, in crescita con 68, dalla Germania e Spagna con 65 e dalla Polonia con 54.
È quanto emerge dal Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2021, giunto alla sua terza edizione, realizzato dal CEN-Circular Economy Network – la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, di cui Mercato Circolare è socia – in collaborazione con Enea.
Il focus del rapporto di quest’anno riguarda il contributo che l’economia circolare dà alla lotta ai cambiamenti climatici. Secondo il Circularity Gap Report 2021 del Circle Economy – che misura la circolarità dell’economia mondiale – raddoppiando l’attuale tasso di circolarità dall’8,6% (dato 2019) al 17%, si possono ridurre i consumi di materia dalle attuali 100 a 79 gigatonnellate e tagliare le emissioni globali di gas serra del 39% l’anno. Avvicinandosi così all’obiettivo zero emissioni al 2050 previsto dall’Unione europea per rispettare l’Accordo di Parigi.
In questa direzione, indicata dalla Ue, l’Italia ha compiuto alcuni importanti passi avanti. Nel settembre 2020 sono stati approvati i decreti legislativi di recepimento delle direttive in materia di rifiuti contenute nel Pacchetto economia circolare mirato a prevenire la produzione di rifiuti, incrementare il recupero di materie prime seconde, portare il riciclo dei rifiuti urbani ad almeno il 65% entro il 2035, ridurre a meno del 10% entro la stessa data lo smaltimento in discarica. Entro il marzo 2022 dovrà inoltre essere approvato il Programma nazionale di gestione dei rifiuti. E il nuovo Piano Transizione 4.0, più orientato alla sostenibilità rispetto al precedente Piano Industria 4.0, prevede specifiche agevolazioni per gli investimenti delle imprese finalizzati all’economia circolare. Misure importanti ma non ancora sufficienti.
“Presi dalle emergenze, in Italia stiamo sottovalutando la portata del cambiamento europeo in atto verso l’economia circolare. La sfida più importante che abbiamo ora di fronte – ha dichiarato Edo Ronchi, presidente del Cen, alla presentazione del rapporto – è la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Bisogna rafforzare le misure per l’economia circolare e assegnarle un ruolo strategico nel Piano nazionale per la Transizione ecologica. Nella corsa verso un nuovo modello circolare il nostro Paese è tra i paesi leader in Europa, ma stiamo perdendo posizioni. E’ un’occasione che non possiamo mancare, non solo per l’ambiente ma anche per la competitività delle aziende italiane“.
“L’economia circolare – ha aggiunto Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali di Enea – riveste un ruolo fondamentale nel percorso verso sistemi produttivi e territori, a partire dalle città, più sostenibili, ma anche nel raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica: oltre il 45% delle emissioni sono associate all’utilizzo dei prodotti e alla gestione del territorio in tutte le sue componenti e la transizione circolare può portare all’abbattimento fino a circa il 40% del totale delle emissioni globali. È necessario però da una parte essere più ambiziosi nella parte dedicata alla transizione circolare del PNRR, proprio in quanto occasione unica e imperdibile, e dall’altra mettere in campo da subito tutti gli strumenti necessari, tecnologici, regolatori, finanziari e soprattutto di governance“.
Che benefici otterremmo se si implementasse l’economia circolare?
Bastano alcuni esempi per avere un’idea delle potenzialità legate al rilancio dell’economia circolare.
Nell’Unione europea nel 2017 la produzione della plastica ha generato 13,4 milioni di tonnellate di CO2eq (senza contare quelle derivanti dallo smaltimento), pari al 20% delle emissioni dell’intero settore chimico. Se la plastica viene ottenuta attraverso il riciclo invece che utilizzando idrocarburi le emissioni scendono anche del 90%.
Sempre dal punto di vista delle emissioni, quelle del settore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) potrebbero diminuire del 50% se aumentasse il loro riutilizzo. Un esempio: prolungare di un anno la vita di tutti gli smartphone dell’Ue permetterebbe, secondo la Commissione europea, di risparmiare 2,1 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, equivalenti all’eliminazione di un milione di auto dalla circolazione.
Il settore tessile rappresenta il 10% delle emissioni mondiali di gas serra: più di quelle generate dal traffico aereo e navale. Nel 2017 a livello globale sono state prodotte 99 milioni di tonnellate di fibre tessili (di cui 65 milioni di tonnellate di fibre sintetiche da fonti fossili, con una crescita annua del 2,5%). Con questo tasso di crescita l’Ellen MacArthur Foundation stima che entro il 2025 verranno prodotti tra 130 e 145 milioni di tonnellate di fibre tessili. E finora è stato fatto poco per la sostenibilità del settore: il riciclaggio primario globale è fermo a meno dell’1%. Aumentare la vita utile di un capo indossandolo il doppio delle volte ridurrebbe le emissioni del settore del 44%.
La misura di circolarità che permette di ridurre l’impronta carbonica della produzione dei metalli è soprattutto il riciclo. Quello dell’acciaio, ad esempio, secondo l’Unep (United Nation Environmental Programme), comporta un impatto stimato tra il 10% e il 38% di quello derivante dalla sua produzione da materie prime vergini; l’impatto dell’alluminio riciclato è tra il 3,5% e il 20% di quello prodotto utilizzando le miniere di bauxite.